Quando entriamo in una libreria, non possiamo fare a meno di spulciare tra i libri della sezione musicale. Per la maggior parte si trovano solo ridicole biografie o manuali di dubbia qualità… ma ogni tanto ci sono anche delle cose interessanti. In una di queste occasioni, ci cadde subito l’occhio su un libro che, per l’autore e il titolo, non poteva passare inosservato (tra l’altro, era anche in edizione economica…). Si trattava di “Come il jazz può cambiarti la vita”, scritto da Wynton Marsalis.

Per chi non lo sapesse, Wynton Marsalis è uno dei più grandi trombettisti viventi, in grado di passare senza alcuna difficoltà e suonando sempre ad altissimo livello dal jazz, alla musica classica, a quella afrocubana e così via. Su Youtube si trovano diverse sue performance che spaziano dai concerti di Haydn agli standard delle brass band di New Orleans, passando per il Bebop più infuocato. Oltre a ciò, Marsalis è da sempre attivo come divulgatore, in particolare per il recupero della tradizione musicale afroamericana.
Il libro si apre con il suo racconto di come lui e il fratello Branford iniziarono a suonare:
Nei primi anni settanta, sull’onda del movimento dei diritti civili – quando […] c’era ancora nell’aria profumo di rivoluzione -, l’ultima cosa a cui chiunque si ritenesse minimamente alla moda poteva prestare attenzione era la musica Dixieland […]. Soltanto il nome te la faceva odiare. Perciò quando mio padre disse che avrebbe portato me e mio fratello Branford a suonare in un’orchestrina per ragazzi diretta da Danny Barker – il leggendario suonatore di banjo e chitarra – tutto ciò che ci potevamo immaginare era musica da cartoni animati, […]. Caspita, ci perdevamo le scorrazzate del sabato per tornare ai giorni della schiavitù. Grandioso!
[…] A mio padre ci volle circa mezz’ora per portarci in macchina a New Orleans, allo spiazzo dove la Brass Band della Fairview Baptist Church di Barker faceva le sue prove.
Là incontrammo un vecchio che supposi fosse il signor Barker. Era un personaggio pittoresco, pieno di vitalità e di fantastiche storie che sapeva raccontare bene. Amava la musica di New Orleans e amava i bambini. Quel giorno ci diede una lezione decisiva sul jazz – e sulla possibilità di una vita basata sull’espressività personale e sul rispetto reciproco. Una lezione profonda e indimenticabile.
Quindi, la musica come catarsi, come lezione e filosofia di vita, insegnata, anzi tramandata, e sempre attuale, al di là delle mode e degli sconvolgimenti sociali.
Il racconto di Wynton – fatte le debite proporzioni – corrisponde più o meno all’esperienza di chi si rivolge ad una banda. Tutti noi (o almeno la maggior parte) abbiamo iniziato perché spinti da un genitore, o perché qualche amico già suonava. Poi, abbiamo imparato a leggere la musica, a suonare uno strumento a fiato o a percussione, a suonare insieme ad altre persone, di tutte le età.
Ma qui si apre un discorso più ampio: in tempi di home studio e trap music, se non di totale disinteresse per la musica suonata, quale può essere l’utilità di una banda musicale “tradizionale”? Di imparare a solfeggiare e a suonare un clarinetto o una tromba? Quale può essere l’utilità dello sfilare in divisa con cappello e mostrine per le vie di un paese? O di tenere un concerto di musica bandistica?
Be’, noi siamo un po’ di parte, ma l’utilità è enorme, e si può riassumere con due concetti.
Cultura musicale, prima di tutto. Cultura musicale nostra, di chi suona, e poi anche di chi ascolta. Saper leggere uno spartito, saper suonare uno strumento e saper interpretare una partitura, anche senza essere musicisti professionisti, rappresentano un valore aggiunto, soprattutto in un paese che, paradossalmente, ha una tradizione musicale che ha ispirato tutto il mondo e tuttavia interrompe bruscamente la trasmissione istituzionale di questa cultura dopo le scuole medie inferiori, a meno di fare studi specialistici.
Un valore aggiunto perché la cultura è sempre un valore, perché chi conosce, anche in minima parte, può apprezzare e quindi può costituire un pubblico per l’industria dello spettacolo.
Un valore aggiunto che probabilmente non darà alcun vantaggio a scuola o sul lavoro, ma permetterà di apprezzare meglio le cose belle.
Poi, cultura musicale a 360 gradi: la musica è un mondo infinito e meraviglioso e grazie a quello che si suona in una banda è possibile esplorarlo a fondo. Inoltre, siamo sicuri che saper suonare uno strumento e avere una minima infarinatura di semiminime, tonalità e alterazioni può aiutare tanto, anche se si vuole comporre un brano trap.
In secondo luogo, comunità: ovvero condivisione di esperienze e di cultura. Due esempi banali, tratti dalla nostra attività recente. Un convegno bandistico organizzato per la festa del Santo Patrono, a ottobre 2019. La banda nella sua accezione più tipica: lo sfilare suonando per le vie di un paese in festa. Qual è l’importanza di tutto ciò? Semplice: se non ci fossero state le bande a sfilare, la festa sarebbe stata molto meno “festosa”, e questo era ben visibile negli occhi delle persone che incontravamo per le strade.
Secondo esempio: la rappresentazione di “Cavalleria Rusticana” che abbiamo allestito nel 2018 insieme ad altre bande e cori e a cantanti lirici. La lirica un po’ spaventa lo spettatore medio, forse perché tutti pensano sia difficile da seguire… Ma in realtà l’opera è per prima cosa un racconto, ed ecco che prima abbiamo preparato il pubblico raccontando l’opera nella sua essenzialità con incontri tematici, anche nelle scuole di ogni ordine e grado (avete mai provato a raccontare la trama di “Cavalleria Rusticana” – che, ricordiamo, parla di tradimento e omicidio – a dei bambini dell’asilo? Be’, noi ci siamo riusciti!). Siamo sicuri che, almeno per la sera dello spettacolo, Sedriano è diventata davvero una comunità unita nella cultura musicale della nostra tradizione. Molte persone (noi compresi) oltre ad aver assistito ad un’opera lirica a ingresso gratuito ora conoscono meglio questo capolavoro. Non è questa una condivisione di esperienze e cultura che solo la musica può dare?
